Il mistero di Rovigheto è il visibile non l’invisibile
3 Aprile 2019
Erano presenti anche nelle più sperdute frazioni del Polesine. Fuori, sopra la porta, campeggiava il simbolo gigantesco. Chi si riuniva in quelle anguste stanze, di solito dopo aver lavorato nei campi o in fabbrica tutto il giorno, era orgoglioso di far sapere dove incontrava compagni o amici per discutere di politica. Falce e Martello e Scudo crociato erano fucine di democrazia diretta che si sviluppava poi attraverso le vie comunali, provinciali, regionali e nazionali.
Ci si confrontava, ci si scontrava, su quei temi che man mano che progredivano diventavano leggi dello Stato. Con percorsi che avevano una loro logica perché, come dicono a Napoli, nessuno nasce imparato. Prima si approdava nei consigli comunali o di quartiere, poi al provinciale e via via sino al parlamento. In poche parole, la rappresentanza democratica subiva un percorso. Si iniziava dalle basi ABCD e 1-2-3 per arrivare preparati ai futuri incarichi pubblici. Primo per non fare figuracce, secondo per non produrre guai ai cittadini attraverso la loro condotta. Prevalevano educazione, principi, onestà. Primeggiava la morale dell’individuo, che non ha plurale. Nelle varie realtà periferiche o comunali c’erano “i maestri” di vita, di esperienza, di credo. E come nel mondo dell’arte Tintoretto aveva avuto come maestro Tiziano e questi Giorgione che a sua volta era stato a bottega da Leonardo dal Verrocchio, anche i grandi della politica si formavano nei loro cenacoli. Aldo Moro con Battista Montini poi divenuto Pontefice, assieme a De Gasperi, Dossetti, Piccioni. Togliatti stesso era compagno con Gramsci, Salvemini e Labriola. Come Nenni con Vagliani, i fratelli Rosselli e Di Vittorio. Mi vengono i brividi mentre scrivo questi cognomi pensando alle miserie politiche umane di Rovigheto.
Anche nel nostro piccolo si incontravano nomi come Matteotti, Bisaglia, Romanato, Merlin, Andreini, Bonalberti, Brigo, Monesi eccetera. Hanno rappresentato l’ultima retroguardia di un tempo che fu. Oggi l’assenza di scuole di pensiero è demandata agli spot televisivi, a Facebook. Le sedi dei partiti sono sparite, ci si convoca quando c’è da spartirsi le careghe. Manca il percorso ma la meta c’è: un assessorato, un incarichetto, una presidenza, un riconoscimento per permettere di avere tutele lavorative, ossequio dai vicini di casa, eccetera. Poche e miserrime cose che per un “niente” sono tutto.
Gli effetti della mancanza di leader, esplode anche in questi giorni in cui regna la frammentazione personalistica. Dove si sommano legionari e “reduci”, più che combattenti. Dove esiste una sola preoccupazione: infarcire di nomi le liste. Dopo verranno i programmi, improvvisati o copiati. Leggiamo di nomi che navigano un giorno nella destra e il giorno dopo nella sinistra. Tutto fa brodo. Mi rendo conto che posso apparire come un giustiziere, se uso l’accetta per distinguere il vero dal falso. Ma la stampa ha questa grande missione.
PS: sono trascorsi cento anni dalla disastrosa guerra ‘15-18 che ha sterminato seicentomila ragazzi e prodotto un milione di feriti. Così dalla nascita del Partito Popolare Italiano, ad opera di don Luigi Sturzo. Ma anche da quei meraviglioso versi di Giacomo Leopardi. “L’Infinito: …io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura…
Roberto Magaraggia
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