Eran belli gli occhi neri, eran belli gli occhi blu, ma le gambe ancor di più…

Eran belli gli occhi neri, eran belli gli occhi blu, ma le gambe ancor di più…

6 maggio 2019

Non so se capita anche a voi, ma ho notato che molti spunti che stimolano la mia penna arrivano mentre sono sdraiato. Mi chiedo se dipenda dal fatto che la mente spazia avendo il cielo soprastante, invece dei 90 gradi di quando sono in piedi. Forse questi pensieri non transiteranno nemmeno per un attimo nella testa di chi ha la vita intervallata da mille occupazioni e preoccupazioni e, quando si corica a letto o sul divano, viene immediatamente rapito da Morfeo, dio del sonno.

Pensavo, nei scorsi giorni, come sono mutate negli ultimi decenni le nostre abitudini, i nostri costumi. Come l’abbigliamento, per esempio. Sia a Rovigheto che in provincia gli uomini indossavano tutti la giacca e i pantaloni. Poi c’era il vestito della festa. C’era chi ne aveva più d’uno, chi uno solo, e doveva durargli tutta la vita. Si vestivano seguendo più l’istinto che le tendenze. Oggi la moda e la televisione hanno livellato e ucciso l’individualità, sostituendola con l’uniformità.

Ma è delle donne, che desidero parlare. Di quei fantastici e affascinanti tailleur che indossavano, e che sono totalmente scomparsi dall’abbigliamento femminile. Ricordo quelli resi celebri da attrici fatali, come Ingrid Bergman in Casablanca, o Glenn Close in Attrazione Fatale. Per non parlare di Greta Garbo o Marlene Dietrich. O quello di colore rosa, macchiato dal sangue di suo marito, il presidente ucciso nell’attentato di Dallas nel 1964, che cingeva la silhouette di una dea dell’eleganza, Jacqueline Kennedy. Provo una grande nostalgia verso il tacco dodici e quei due pezzi, giacchino e gonna. Accessori un tempo indispensabili nel guardaroba femminile. Che affascinavano, direi catturavano il desiderio. Molto ma molto di più del bikini. Le donne avevano capito che per superare gli uomini esisteva un unico modo: essere sempre più donne, più femmine. Anche le nostre mamme, nelle occasioni importanti, in paese, lo mettevano. Era come una divisa d’ordinanza. Impensabile, per il gentil sesso, portare i pantaloni.

Rappresentano i ricordi di noi ragazzini che, seduti davanti al bar di Reale, scrutavamo le ragazze un po’ più grandi che passandoci davanti, in bicicletta, lasciavano intravedere un pezzo di coscia. Erano le visioni cui rivolgevamo la nostra febbrile immaginazione, durante le illusioni dell’amore solitario. Anche per la nostra gioventù “…eran belli gli occhi neri, eran belli gli occhi blu, ma le gambe ancor di più…” cantavano il Trio Lescano. Era vero: quelle cosce, solo per un attimo intraviste, erano più efficaci del viagra. Quanti notturni omaggi, venivano loro dedicati. Non esistendo la televisione, le uniche icone che scatenavano le fantasie erotiche erano quelle contenute nei calendarietti profumati, che ritraevano donne vestite succintamente, distribuiti ai migliori clienti verso Natale, dal barbiere Carletto, che faceva anche il sarto.

Vennero poi gli anni in cui si affrontarono le fugaci prime esperienze sessuali; e le gonne aiutavano molto. Tra noi si gareggiava, spesso mentendo, raccontandoci quante volte il mese si brindava alla dea ciprigna. Traguardo invalicabile per un nostro timido e sfortunato compagno che, respinto dalle ragazze, anche dalla più democratica, praticava l’amore solitario, esagerando. Tanto da mettere a repentaglio il suo esile fisico. Incurante dei nostri richiami, che lo ammonivano informandolo che stava rischiando la cecità. Meno male che, indossando il suo pallore, quando si presentava davanti all’Altissimo, rappresentato a Bagnolo Po da quell’amato parroco romagnolo che era don Giuseppe Melandri, alla scontata domanda “…quante volte …” se la cavava, rimediando i soliti dieci Pater Noster di penitenza. Evitando sia l’inferno, che l’oculista.   Roberto Magaraggia. 

Rovigo Magazine