La pagella della settimana

La pagella della settimana

14 ottobre 2019

Aridatece Bergamin. La politica cittadina sembra imbalsamata. Da una parte troviamo chi ha vinto le elezioni e ha varcato i primi cento giorni nella più grande tranquillità; dall’altra un mixer composto di niente. Non esiste opposizione. Nel contempo gli assessori, neofiti, si stanno apprestando a misurarsi di cosa in cosa, beneficando della scelta in solitaria operata dal sindaco Gaffeo, ponendosi naturalmente alla servitù sua, anche perché di creatività dotate non se ne vedono ancora. Anche se si può ben sperare che maturino col tempo. Ci fosse stato nelle fila dell’opposizione almeno uno come l’ex sindaco il termometro politico sarebbe sicuramente salito. Così, invece, si rischia la narcolessia. Si dorme. Una opposizione con i fiocchi sarebbe il maggior stimolo e aiuto a chi governa.Intanto, problemi scottanti che avevano infiammato la campagna elettorale e posti sul fuoco proprio dal sindaco, tipo ” il Tribunale non si sposta”, vengono riposti nel frigorifero. La tanto urgente e sbandierata presa di posizione con un consiglio comunale monotematico, riposa in pace. Statene certi, quando furboni e furbetti avranno, da dietro le quinte confezionato la rappresentazione, verrà aperto il palcoscenico. E ai rovigotti, come al solito, non resterà che assistere da spettatori alla farsa. Voto 4

Ho vinto la cena. Avevo scommesso che il parlamento non avrebbe votato il taglio di più di trecento parlamentari. Trovo invece incredibile che ancora, seppur lievemente ridimensionati, siano stati salvati i parlamentari esteri, che non pagano imu, tassa rifiuti, irpef eccetera e vivono da decenni e decenni fuori dall’Italia. Pazzesco. La parte “scientifica” di me stesso non ci credeva; ha invece prevalso quella “speranzosa”. E, non avendo ricevuto guanti che raccogliessero la sfida, la cena ho dovuto pagarmela e consumarla da solo. Credo che una riflessione debba essere comunque fatta, prendendo a riferimento quei parlamentari che negli ultimi venti-trenta anni sono stati eletti in Polesine. Ditemi, gentili lettori, quali risultati hanno prodotto? Quale è stato il loro apporto fondamentale e tangibile registrato dal nostro territorio? Non voglio assolutamente infierire, ma chi legge sa benissimo quali “pesi morti” abbiamo, e abbiamo avuto. Inutile fare gli ipocriti. Ben venga quindi un repulisti. Che dovrebbe riguardare anche altri “scatoloni” che ci costano tonellate di quattrini. Quando non c’erano le Regioni, e centinaia e centinaia di enti inutili e costosissimi, le cose funzionavano meglio. Oggi, in Italia, stiamo andando verso forme di assolutismo: nei partiti comanda uno, gli altri obbediscono. Stiamo assistendo come tanti “mona” felici a quanto accade: quindi viva la Monarchia. Voto 8

Ho letto che un privato avrebbe richiesto ettari di suolo per una licenza e costruire un blocco di abitazioni per studenti, dopo che l’università si è insediata nella definitiva e splendida sede in centro della città. Spero tanto che il comune non conceda ulteriori cementificazioni. Anzi, se la giunta fosse intelligente dovrebbe avere il coraggio civico di iniziare a demolire, ripulire Rovigheto da edifici dismessi. Iniziando dall’ex Maddalena, l’ex Vigili del Fuoco eccetera: giù i ruderi per creare parcheggi e piantumazione di alberi e nuovi spazi verdi per tutti i cittadini. Il “male della pietra”, che ha prevalso per molti anni, è segno di una malattia psicologica. Ci sono, per chi volesse apportare un contributo a Rovigheto, centinaia e centinaia di abitazioni sfitte e in vendita che potrebbero essere riattate per poi essere affittate agli studenti. Ho sempre pensato che debba essere la politica a segnare il confine tra il legittimo desiderio di trasformare il nostro territorio agricolo in cemento, realizzando grandi profitti, e la realtà di una cittadina in continua decrescita. Anni fa, durante l’amministrazione Fausto Merchiori, quando fu messa mano all’urbanistica di Rovigheto, assessore Luigi Osti, tutti i capigruppo e molti consiglieri comunali varcarono la porta dell’assessorato con richieste più o meno legittime, che solo lui potrebbe oggi rendere note. Fu lo stesso assessore che pubblicamente, anni dopo, disse: “L’unico capogruppo e consigliere che non è mai venuto a chiedermi piaceri è stato Magaraggia”. Punto. Voto 7

Mi ricordo come fosse oggi: Bagnolo di Po in festa. Il mio paese di poco più di mille abitanti aveva portato all’altare ben tre preti, contemporaneamente. Fu imbandita una gran festa. Poi, credo si “spretarono” tutti, col trascorrere degli anni. Da quando sono nato, in Polesine, i sacerdoti si sono dimezzati, mentre le suore sono quasi estinte. E’ il progresso che uccide le vocazioni. La “morte di Dio”, il benessere, che crea però grandi vuoti. Nella società rurale non ci si riusciva a sfamarsi, nemmeno con l’autoconsumo di ciò che si produceva. Era miseria. Tanti finivano perciò nei seminari o nei conventi per necessità più che vocazione. Era anche l’unica maniera per studiare gratis. I seminaristi in gran parte derivavano da famiglie numerose e poverissime. Oggi le vocazioni stanno quasi scomparendo, come certi “mistici” poi fatti salire sugli altari che, come testimoniano le cronache, erano spesso distrutti da fame e digiuni, e perciò avevano “le visioni” oltre che sentire “le voci” o essere ” visitati delle apparizioni”. Per i giovani di oggi ci pensano gli stupefacenti. Voto 5

Il 2 ottobre è stata la festa dei nonni. Chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di conoscerli avrà sicuramente ricordi importanti. Di queste persone che popolavano le campagne o la città. Tanti erano semianalfabeti, ma non ignoranti. Le scuole le avevano frequentate si e no fino ai dodici anni. Bisognava poi abbandonare e immettersi nel mondo del lavoro dei campi o nell’apprendistato, per imparare i primi rudimenti di un mestiere. E’ stata una generazione che non ha conosciuto la giovinezza, intesa come è oggi. Appena spuntava la prima barba si era già immersi nelle dure giornate lavorative. Nonostante ciò, una volta invecchiati, sapevano trasmettere cultura vera: era quella della parola, spesa spesso davanti al camino, nelle lunghe serate d’inverno, quando la TV non esisteva. Oppure nelle stalle, nei filò, dove venivano raccontate filastrocche, e i proverbi la facevano da padrone. Erano tempi in cui si credeva, si pregava, si recitava il rosario nelle famiglie. Ci si preparava per festeggiare le poche feste che c’erano: la fiera del paese, le processioni, il carnevale, l’uccisione del maiale. Per loro il mondo finiva con i confini del paese, dove si accumulava il loro tesoro fatto di conoscenze pratiche, di poche parole, di grande spiritualità mutualistica. Si ballava nelle corti, si cantava. Si viveva e si moriva nella casa, rispettati e attorniati dalla famiglia. Ora è in televisione che ballano, cantano, e decidono per noi. I vecchi in quella società erano i saggi, in questa dei pesi, dei relitti. Voto 9

E IO TI UCCIDO

Una decina di giorni fa presso il Teatro Sociale di Rovigo si è svolta una manifestazione, direi riuscita, visto il numeroso pubblico accorso. Si trattava di celebrare il trentesimo anniversario dell’ Auser. Una serata completa, con troppe parole pronunciate che hanno annacquato il messaggio principale. Dopo aver sviscerato i numeri e il grande impegno che questi volontari producono verso gli anziani, si è assistito ad una rappresentazione scenica di livello. Dopo l’intermezzo delle ocarine del Delta, si è passati a una esibizione di danza contemporanea curata dall’associazione Cantieri culturali creativi dal titolo “Tempi duri richiedono danze furiose”. Cuore della manifestazione è stato il femminicidio, la violenza sulle donne. Ben idealizzata, e curata da Romina Zangirolami, con un allestimento scenico, semplice ma raffinato, di Miranda Greggio. Dove la gestualità ritmica, eseguita con accuratezza e maestria, è stata esibita a livello teatrale. Riportandolo a fatto sociale, per meglio comprendere questi aspetti contemporanei che ci segnalano una richiesta di liberazione da qualcosa che opprime, che vincola, da qualcosa cui sembra impossibile ancor oggi fuggire, pena la morte, l’annientamento. Non passa giorno che vi sia violenza sulle donne. Perché nella società rurale le donne non si uccidevano mentre in quella post industriale si massacrano ogni giorno, è la domanda? Eppure la storia è disseminata di delitti rimasti impuniti. Per millenni, finché, nel 458 avanti Cristo, Eschilo, in una sua rappresentazione teatrale, dal nome Oristea, ci ha informato che era nato il passaggio dal mondo della vendetta al mondo del diritto. L’Areopago ateniese fu il primo tribunale istituito da Atena, per giudicare Oreste che aveva ucciso sua madre la quale aveva eliminato suo padre con la complicità del suo amante Egisto. Sapete come finì quel primo processo? Quale fu la sentenza? Oreste fu assolto perché i giudici anziché scegliere se far prevalere l’antica regola della vendetta o la nuova del diritto, avevano preferito pronunciarsi sui ruoli di padre e di madre nella procreazione, votando a favore del padre: “Non è la madre la generatrice di quello che è chiamato suo figlio,,,” avevano scritto i giudici dell’Areopago ma, “…ella è la nutrice del germe in lei inseminato. Il generatore è colui che feconda”. Una inferiorità che le donne continuano a soffrire da millenni, e che relega il genere femminile ad un ruolo incredibilmente subordinato ancor oggi.

Rovigo Magazine