La pagella

La pagella

10 gennaio 2022

Tempo fa, ad Adria, che ha dato il nome al mare Adriatico, il consiglio comunale non avendo prospettive da illustrare è ricorso alla memoria. Di pochi. Immagino. Nonostante siano trascorsi poco più di settant’anni dalla caduta del regime fascista, ripescare la cittadinanza onoraria che fu conferita a Mussolini e surrogarla con Matteotti fa parte certamente dell’improvvisazione. Anzi dell’impreparazione di un ceto la qualunque. Sarebbe bastato mettersi sul ponte che attraversa il Canal Bianco e chiedere agli adriesi quanti si ricordavano dell’evento. Se sapevano, per esempio, che i due erano stati insieme nel partito socialista per poi percorrere strade diverse, come accade nella vita. E che l’ultimo figlio rimasto in vita, dopo numerosi lutti, fu Giancarlo detto “Chicco”, nato dal primo matrimonio civile con Velia Titta quando il martire era al confino nel 1918, in Sicilia. Bene hanno fatto i pochi consiglieri a non votare il provvedimento, anche se poi approvato. Cancellare anche atti che nel momento in cui sono stati assunti avevano l’appoggio della quasi totalità della popolazione significa sopprimere la storia. E chi non la ricorda è destinato a riviverla. Poi, come sosteneva una delle donne più intelligenti che ho conosciuto, morta alla soglia dei 100 anni, le cittadinanze, i monumenti, le strade, le piazze non vanno mai titolate a politici che spesso il tempo rivela essere stati ladri, assassini, usurpatori. Si debbono premiare invece cuochi e umoristi.

PROMOSSI

In questa nostra società dello spettacolo, sopraggiunta da quando la televisione è divenuta popolare e ha cestinato la formazione a scapito della semplice informazione, per avere successo bisogna imboccare il percorso dei saranno famosi. Renzi e Salvini avevano affrontato chi La Ruota della Fortuna, chi Slalom, chi il Pranzo è Servito, fino al nostro Zanellato con Polesine Film Commission. Chiaro che ai cittadini drogati del video i vari Galli, Viola, Capua, Preglisco per non dire del Bassetti, innalzati da semplici professionisti, fino a ieri sconosciuti, ad eroi basta un nulla. E loro, sempre pronti e disponibili a dire tutto e il contrario di tutto, si consegnano all’ondata mediatica dove i webbeti la fanno da padrone. La popolarità è una dipendenza mille volte peggio della cocaina. E loro ne sono orami assuntori, e schiavi. E, come può accadere alle cime più esposte ai venti, si può  venire investiti da ondate di deficienti che scrivono minacce. Ecco che allora anche le forze dell’ordine divengono esse stesse popolari: e affidano scorte e protezioni varie, aumentando così il loro status simbol. Scortati come Mattarella, Casellati, Casini, Berlusconi, Renzi, Letta eccetera. Agli ebeti consiglio una medicina a costo zero: leggete di più, istruitevi, non scrivete stupidate e fate come il sottoscritto: quando appaiono i Bassetti, i Viola, i Pregliasco o i Galli rinchiudeteli nel pollaio del tubo catodico. Cambiando subito canale, o meglio ancora spegnendo il televisore.

BOCCIATI

Nella nostra società si è tentato di cancellare l’invisibile: Dio, i virus, il pensiero profondo. Siamo aramai incapaci di pensare fuori dagli schemi che ci vengono imposti. Imposti ripeto. Ci si aggrappa all’aldiqua’ mettendo in grande dubbio che effettivamente esista un “Aldilà”. Ci siamo orami vaccinati, e le stupidaggini cui assistiamo tutti i giorni vengono cancellate da altre stupidaggini. Non ci fa più caldo né freddo nulla. La manipolazione delle notizie non viene nemmeno più verificata dalla nostra testa. Attenzione però: quando si accendono le luci perché lo ordina Celentano, si acconsente tutto e il suo contrario senza battere ciglio e si è pronti ad ubbidire a qualsivoglia ordine, si imbocca una strada molto pericolosa. Dopo due anni che imperversa la pandemia siamo negli stessi panni di prima, più o meno. Nonostante i miliardi e miliardi di euro spesi, e che le future generazioni dovranno poi restituire. Oramai siamo giunti a quota 140.000 morti su 60.000.000 di persone. La Spagnola nel ‘19/20 di vittime ne fece 600.000 quando la popolazione era di 35.000.000. Allora però si pregava, si sperava, si accettava il destino e si affrontava la vita per guadagnarsi il cielo, e ritornare poi nudi alla meta, come quando siamo nati. Ora vi è un attaccamento morboso, direi patologico alla terra, al materiale, al superfluo e nessuno vuole avventurarsi più in alto perché bisogna innanzitutto prendere il carro funebre. Ci stiamo rintanando; abbiamo voluto cercare mondi nuovi e salire sulla Luna una cinquantina di anni fa, e ci è bastato. Fine. Ogni giorno in questa Italietta muoiono 1.700 persone. Ci dicono di Covid, e altre patologie circa 100/150/200. Un anno fa erano molte di più, perché la malattia era sconosciuta e tanti venivano “ammazzati” nel tentativo di salvarli, con l’ossigeno e l’età media dei morti era di 70/80 anni. Ma se facciamo una semplice sottrazione dei rimanenti 1500/1600 defunti giornalieri che ne diciamo? Di che sono morti? Ma questo pare non interessare nessuno. Tutti sono immersi nel Covid. Per le strade si ode un solo disco: quanti dosi hai fatto? Sei alla prima, seconda o al booster”. Al caffè dal salumiere, al supermercato. Dappertutto. Non parliamo delle tv a reti unificate. Megafono dispensatore di paura, tanto che, quando si rendono conto del loro fallimento informativo, si allargano. Confrontando i nostri morti e positivi con la Francia, la Gran Bretagna eccetera. L’obiettivo è far intendere che stanno peggio di noi. E che quindi siamo i migliori. La ricerca di attenuanti oramai è divenuta legge, tanto che mi ricorda quel furbastro ma incapace e scansafatiche di avvocato che al giudice chiese l’assoluzione o le discriminanti generiche per il suo assistito. Al che il magistrato, infastidito, esclamò: “Ma come fa avvocato ad essere così spregiudicato. Il suo cliente ha ammazzato 13 persone”. “Certo – fu la risposta dell’azzeccagarbugli – ma ne poteva benissimo uccidere 33”.

BOCCIATO

 

Non ci sono più i maestri di una volta, La scuola, “de visu o in dad”, da tempo non è più “quell’incubatrice di possibilità”, come la definiva quel grande accademico di Pietro  Calamandrei. E si vede. Anche in politica vale lo stesso: dove sono gli allievi di Matteotti, di Badaloni, di Bisaglia, di Romanato o Merlin? O più da vicino di Brigo, Andreini, Veronese per citare i primi nomi che mi vengono alla mente? Oggi la scena è popolata da personaggetti in cerca d’autore, e di stipendio, che cercano di convincere i cittadini con le loro piccole storie disperanti perché precipitati nel dramma dell’improvvisazione politica in quanto privi del loro capocomico. Come nella famosa commedia di Luigi Pirandello. Rimangono sulla scena alcuni superstiti. Uno o due anziani socialdemocratici o socialisti, e il grande Domenico Romeo. Quando in internet si clicca il nome “Domenico”, che deriva dal latino Domenicus, cioè “del padrone”, appaiono tre personaggi, tutti calabresi. Uno è stato un malavitoso, un altro un artista affermato e il terzo è il nostro ex senatore. Che ha appena vinto il congresso provinciale del Pd, e co-gestisce quel che la politica polesana scodella. Non mi stancherò mai di elencare da dove derivi la sua forza, oltre alle capacità intellettive naturalmente. Cioè dall’aver messo a frutto statuto e normative che il partito gli consente. Poi, i “regolamenti” interni li gestisce lui, con una maestria degna di nota. Con una piccola pattuglia di circa 300 tesserati, tutti a lui fedelissimi, sconosciuti ai più ma, quel che conta, pronti ad obbedir tacendo, ha in mano il partito. Che lo alimenta a 83 anni, attraverso quella ragnatela di radici sotterranee che si intrecciano fra loro, costruite negli anni e che riescono a resistere alle “stagioni” della politica. E, se qualche arbusto esterno muore o viene decapitato, la sua linfa vivifica prosegue. Altri, girovaghi, come i Raito e C,  corrono avanti- indre’, che le’ un bel divertimento. Perche’ la vita è tutta qua.

PROMOSSO

 

Rovigo Magazine

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