La fatica di trasformare i sudditi in cittadini

La fatica di trasformare i sudditi in cittadini

Sono state pubblicate le percentuali sul grado di istruzione della nostra  piccola “Mesopotamia” tra Adige e Po. Registrando un progresso. L’alfabetizzazione, la dobbiamo anche ai Sumeri, un popolo che nel 4.000 Avanti Cristo visse, come noi, tra due grandi fiumi, il Tigri e L’Eufrate. Se oggi noi polesani siamo un po’ meno somari un riconoscimento va anche a loro, che inventarono la scrittura. Quella che ci permette di fissare i pensieri e di comunicare. Dalla lettura delle percentuali ( siamo i terzi in Italia per le lauree triennali dai 20 ai 24 anni ) ho rilevato un aspetto. Poche sono le lauree magistrali (1,2%), mentre c’è un calo preoccupante degli studenti negli istituti professionali ( dal 26,70% di dieci anni fa al 21,52 % di oggi ). Vi è anche un 12,8% dei senza nessun diploma. Sono sempre più convinto che uno degli errori più gravi, compiuto negli ultimi quarant’anni, derivi dall’errato sistema dell’istruzione. Che ha completamente fallito, abbassando l’asticella del sapere. Probabilmente credevano che l’erogare “ un pezzo di carta “ a tutti costituisse un principio di democrazia. Così, purtroppo, è stato. Col risultato che si sono livellati i saperi. Innalzando gli imbecilli, degradando i capaci. Ci si è messa pure la confusione degli insegnanti multipli: da “magis” ( superiore ) si sono riprodotti divenendo “minister” ( servitore ). Tutti dovevano essere promossi, non sia mai. Non era così per i maestri di una volta: avevano a cuore gli alunni: bocciando i zucconi e accompagnando i più capaci a sviluppare le loro capacità. Come fecero Socrate con Platone, Platone con Aristolele e così via. Anche la moltiplicazione delle cattedre universitarie ritengo sia un segno di miseria, non di ricchezza. Incrementando le sedi in 170 città sfornando sovente semianalfabeti. Esperti di un poco di qualcosa ma illusi che gli possa servire per guadagnare. Se il mondo antico disprezzava i lavori manuali che affidava agli schiavi (i nobili si occupavano di cultura, guerra e politica) la Bibbia ci ha poi fatto conoscere Jahve’ ( l’eterno lavoratore), e il falegname Giuseppe. Anche San Francesco sosteneva che chi lavora con le mani era un operaio, chi con mani e la testa un artigiano, chi con le mani, la testa e il cuore un artista. Da allora le scuole professionali, le botteghe artigiane, hanno formato “i migliori” italiani, nei secoli dei secoli. Che esercitavano in laboratori e officine, che si sono man mano estinte. Ha ragione il vice presidente di Confindustria, Paolo Armenio: il mercato del lavoro è sguarnito di professionalità. Quelle vere. C’è “fame” di muratori, falegnami, fabbri, saldatori, operai specializzati. Non di boriosi laureati. Ricordo Tacchini, il fabbro di Bagnolo Po, o il ciabattino Narciso che in pochi metri quadrati onoravano la loro professione. Per non parlare dei contadini che ho conosciuto, lavoratori che avevano voglia di lavorare. Ed era vita dura, ve lo assicuro. Si svegliavano pensando al lavoro. Era una loro ragione di vita. Anche un umile falegname, come Valentino, l’ho visto adoperarsi per realizzare un modello di porta alla perfezione. Non per il salario, nemmeno per il destinatario. Ma per lui, per onorare il suo mestiere. Così era anche per i due “ stradini “, Veronese e De Giuli, che curavano piazze e strade del capoluogo e delle frazioni Runzi e Cora’. Tenendole in perfetto ordine, disponendo di quattro utensili. Martin Luter King sosteneva che “… se un uomo è chiamato a fare lo spazzino, dovrebbe spazzare le strade come Michelangelo dipingeva o Beethoven componeva. Dovrebbe spazzare le strade così bene che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero a dire che qui ha vissuto un bravo spazzino che ha fatto bene il proprio lavoro….”.
Rovigo Magazine

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